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Giocare a Scuola?
- 11 Gennaio 2022
- Pubblicato da: giovanni.cassina
- Categoria: Scuola Primaria Scuola Secondaria
Esperienza comune che probabilmente nell’immaginario risulta essere assodata è l’intrinseco legame tra bambino e gioco. Non stupisce nessuno vedere bambini che giocano, anzi forse ciò che preoccupa è esattamente il contrario, bambini che avendone la possibilità non lo fanno.
La domanda che forse molto spesso non ci si pone o che trova risposte molto sbrigative è:
– Cosa sta accadendo realmente, al di là di banali constatazioni, nell’evento gioco? oppure
– Perché il gioco è così naturalmente cercato dai bambini?
– Quali corde interne fa risuonare?
– Quali aspetti dell’umano nutre e coltiva?
Fuori dalla pretesa di voler esaurire la risposta a queste domande, si vorrebbe piuttosto illuminarne alcuni aspetti, così da permetterci di guardare in modo più consapevole e curioso ai gesti che, silenziosamente, contribuiscono in maniera determinante a costruire la personalità di ciascuno, nello specifico dei nostri figli.
Un’ultima premessa. L’articolo presta la voce, sperando di non tradirla, a qualcuno decisamente più autorevole di chi vi scrive. Nello specifico a Pierluigi Malavasi, docente di pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che nel suo ultimo libro Insegnare l’umano (2020) dedica una parte alla funzione emblematica del gioco nella costituzione integrale della persona.
Il titolo scelto per questo scritto vorrebbe essere, oltre che il filo conduttore di quanto cercheremo di dire, una problematizzazione pratica delle domande poste in principio: Il gioco a scuola è un’appendice tra le lezioni o è una sede fondamentale dell’evento educativo per la crescita del bambino?
Per cercare di rispondere alla domanda dovremmo iniziare chiedendoci quali sono gli aspetti fondamentali del gioco: un fine da raggiungere, dei mezzi per farlo, un terreno di gioco in cui il tutto prende forma, delle regole e quasi sicuramente un avversario con cui misurarsi e dare fondo alle proprie risorse. Già queste premesse mettono in luce qualcosa di curioso. Tutti gli aspetti elencati hanno a che fare non solo con il gioco, ma in un certo qual modo anche con la vita, con la realizzazione di sé.
1 Nel gioco è in gioco qualcosa di molto più importante del gioco stesso: il gioco è in funzione di altro, di ciò che tramite esso si comprende. E. Fink lo descrive come:
“un fenomeno fondamentale, eidetico dell’essere originario come la morte, l’amore, il lavoro, ma a differenza di questi, è libero dalla complessa architettura delle finalità, non essendo coordinato con gli altri fenomeni fondamentali da un comune tendere allo scopo finale. Sta, per così dire, di fronte ad essi per comprenderli in sé, rappresentandoli. Noi giochiamo il serio, giochiamo l’autentico, giochiamo la realtà, il lavoro e la lotta, giochiamo l’amore e giochiamo la morte. E giochiamo perfino il gioco.”
Fink mette in luce come il gioco rappresenti un luogo sicuro dove sperimentarsi e imparare a comprendere tutte quelle situazioni e quelle modalità, proprie o altrui, che nella vita ci verrà chiesto di affrontare.
2 Si impara a conoscere le proprie risorse e a farle fruttare. Si impara ad affrontare i conflitti e a gestirne gli esiti, compresi i fallimenti; per questa via s’impara apertamente a mettere in gioco noi stessi dentro la società della performance nella quale, proprio perché non ammette errori, abbiamo bisogno di riconoscere una possibilità di bene e di crescita proprio in essi. Si impara a relazionarsi con gli altri: accogliendo la diversità, accettando la propria indigenza, facendosi prossimi a chi è in difficoltà, riconoscendosi vicendevolmente, crescendo insieme imparando gli uni dagli altri. “Il gioco, come tipica e irrinunciabile metodologia formativa, è un modo d’essere nel quale assumere consapevolezza di se stessi, riconoscendosi e riconoscendo l’altro-da-me, senza il quale giocare è im-praticabile” (Malavasi).
Un piccolo inciso sullo Sport. Senza nulla togliere al famoso detto “l’importante è partecipare”, colpisce vedere come i bambini nello sport giochino per vincere. Senza uno scopo il gioco perde di significato, proviamo a pensare a una partita di basket senza un modo per vincere. Forse c’è da aggiungere che è proprio la tensione verso una meta possibile che ci fa mettere completamente in gioco, dando fondo a energie e capacità che non sapevamo neanche di avere. Se ci fossero degli scettici a tal proposito, li invito ad assistere alla partita di calcio che regolarmente giochiamo a scuola prima di iniziare le lezioni e osservare cosa succede quando si avvisano i bambini che mancano due minuti alla fine. Questo vuol dire che bisogna assolutamente vincere? O che è bravo solo chi vince? No di certo. Quello che si vuole mettere in luce è esattamente il contrario, proprio perché si può vincere uno impara a perdere e ad accettare anche il proprio limite, magari raccogliendo la sfida e cercando poi di migliorarsi. Lo Sport possiede la forza simbolica di insegnare ad essere forti ma rispettando delle regole, e stimolando quindi la creatività. “L’esercizio della disciplina forma all’impegno e contribuisce in modo dinamico a strutturare la personalità, proiettandola verso una continua trasformazione, una catarsi” (Malavasi).
Il gioco diventa l’occasione per accompagnare l’umano ad affrontare in maniera plastica e creativa “la tensione che si instaura tra mondo interiore e realtà esterna” (Malavasi). Giocare, a scuola? Un modo per imparare a studiare e a vivere.